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Responsabilità aggravata o per lite temeraria: quando agire in giudizio può costare caro

Quante volte ci capita di sentire l’esclamazione “Ci vediamo in tribunale!” usata per intimidire qualcuno con cui si sta avendo una discussione?

In realtà, “trascinare qualcuno davanti al giudice” – per continuare sulla scia del lessico popolare – potrebbe non essere così semplice e neppure conveniente, posto che l’agire o resistere in giudizio senza fondamento può non rimanere privo di conseguenze.

Per prevenire cause pretestuose e situazioni di abuso del diritto – che ritarderebbero ancora di più il sistema giustizia, con conseguente dispendio di risorse pubbliche – nel nostro codice di procedura civile è stato inserito, dall’art. 45, comma 12, della Legge 18/6/09 n. 69, un terzo comma all’art. 96 C.p.c. che introduce una sanzione di carattere pubblicistico, distinta dalle altre ipotesi previste ai commi 1 e 2 della stessa norma e con esse cumulabile, che prevede la possibilità per il Giudice di condannare d’ufficio la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento per “lite temeraria”.

Tale disposizione ha il fine di punire l’uso distorto dell’azione e della difesa in giudizio, introducendo una forma di responsabilità aggravata per il caso in cui si accerti che il potere di azione, attribuito a ciascun soggetto dal nostro ordinamento per la tutela dei suoi diritti, è stato esercitato per reclamare pretese infondate o per resistere con colpa grave e con soli intenti dilatori, abusando quindi del diritto di azione.

L’applicazione dell’art. 96, 3° comma C.p.c. non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo” (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 27623 del 21 novembre 2017).

Molti a questo punto si chiederanno: c’è una somma predeterminata che il soccombente che ha agito o resistito in mala fede deve corrispondere? L’art. 96, 3° comma 3 C.p.c. parla di una “somma equitativamente determinata”, non fissando limiti quantitativi: il Giudice (sempre nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza) può scegliere se quantificare la condanna in questione sulla base dell’importo delle spese processuali liquidate alla parte vittoriosa (o di un loro multiplo) o del valore della controversia, stabilendo una somma che risulti “equa” nella fattispecie.

Un’applicazione di tale principio è contenuta nella sentenza n. 3641/2019 emessa in data 11/04/2019 dalla VII Sezione Civile del Tribunale di Milano, che ha condannato la parte soccombente, oltre alla rifusione delle spese di lite in favore della controparte vittoriosa, a corrispondere alla stessa oltre € 5.000,00 ai sensi dell’articolo 96, 3° comma C.p.c.

Nella sentenza in questione il Giudice, in particolare, ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 22405 del 13/9/18, che ha precisato come la condanna ai sensi dell’art. 96, 3° comma C.p.c. “sia volta a salvaguardare finalità pubblicistiche correlate all’esigenza di una sollecita definizione dei giudizi e a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 C.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato” e ha quindi ritenuto che la parte soccombente meritasse “la condanna ai sensi dell’art. 96, 3° comma C.p.c., per avere abusato del processo, strumento volto alla tutela dei diritti e non all’elusione dei propri obblighi contrattuali”.

Nello stesso senso si sono successivamente pronunciati altri Giudici del Tribunale di Milano, con un aumento di condanne per lite temeraria spesso di notevole entità.

Lo scopo è proprio quella di evitare che il Tribunale venga utilizzato non per far valere i propri legittimi diritti, ma per evitare di adempiere ai propri obblighi, contrattuali e non, finendo così per utilizzare la macchina della giustizia, già di per sé oberata, per usi distorti e strettamente personali.

Siate dunque prudenti nell’agire o resistere in giudizio per meri fini dilatori, perché potreste vedervi costretti a pagare un caro prezzo!