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Divieto di recesso anticipato nei contratti a termine e clausole vessatorie

Poniamo il caso che TIZIO stipuli con la società BETA un contratto per la fornitura di servizi e che, anche in considerazione del prezzo più vantaggioso, decida di sottoscriverlo per la durata di tre anni.

Nel corso del primo anno, TIZIO si accorge però di utilizzare il servizio non tanto quanto avrebbe immaginato e pertanto il corrispettivo gli risulta un fastidioso ed inutile esborso. 

Quindi, prima dei tre mesi dalla fine del primo anno, decide di mandare alla società BETA la comunicazione di recesso con effetto immediato al termine dell’annualità in corso.

Tuttavia, gli anni successivi si vede recapitare le fatture con l’addebito del corrispettivo per la seconda e la terza annualità, che non paga, ritenendo di nulla dovere a fronte del recesso esercitato, cui è seguito il mancato utilizzo del servizio. 

La società BETA però non è d’accordo perché il contratto prevedeva il divieto di recesso anticipato. Decide quindi di agire per il recupero del proprio credito e notifica così il decreto ingiuntivo, al quale TIZIO propone opposizione, lamentando la vessatorietà della clausola in questione e la sua invalidità, non essendo stata oggetto di specifica e separata sottoscrizione.

TIZIO perde però la causa e si vede costretto a pagare alla società BETA anche le spese.

Vi spieghiamo perché.

La clausola che, nei contratti a tempo determinato, vieta il recesso anticipato, non può considerarsi vessatoria, perché entrambi i contraenti hanno diritto di confidare nella vigenza del rapporto sino alla naturale scadenza del termine concordato.

Il principio basilare è contenuto nell’art. 1372 del Codice Civile, che così recita: “il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

Ne deriva che il divieto di recesso anticipato, nei contratti a termine, è meramente riproduttivo di un principio di legalità e non necessita di alcuna specifica sottoscrizione, dovendosene escludere la natura “vessatoria”. 

La legge, all’art. 1341, 2° comma del Codice Civile, qualifica infatti come “vessatorie” le clausole che stabiliscono – a favore di chi le ha predisposte –limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero quelle che sanciscono – a carico dell’altro contraente: 1) decadenze, 2) limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni, 3) restrizioni alla libertà contrattuale verso terzi, 4) tacita proroga o rinnovazione del contratto, 5) clausole compromissorie o deroghe all’autorità giudiziaria.

La clausola che vieta il diritto di recedere prima della naturale scadenza del contratto, ossia al termine del periodo concordato, non rientra tra le ipotesi previste dalla citata norma, il cui elenco è tassativo.

La clausola è quindi valida, anche in assenza di specifica sottoscrizione e TIZIO non può recedere anzitempo dal contratto di durata che ha stipulato con la società BETA, salvo il consenso di quest’ultima, la quale ha pieno diritto ad esigere il corrispettivo per l’intera durata concordata, a prescindere dall’utilizzo o meno del servizio. 

Tribunale di Milano, Sez. XI, ordinanza n. 5025 del 17/10/2019.